martedì 5 aprile 2011

Mauro De Mauro intervista Antonio Pizzuto, Il sorprendente Pizzuto Palermitano dei Quattro Canti, L'Ora 11-12 novembre 1967

[Mauro De Mauro intervista Antonio Pizzuto]


L’ORA, A. LXVII, n. 266, 11-12 XI 1967, p.  10

Ritorna nella sua città l’autore della “Signorina Rosina”.
C’è chi lo considera uno dei massimi scrittori italiani

Il soprendente
Pizzuto  Palermitano
dei Quattro Canti

Da Questore a raffinato musicologo – I suoi libri e il suo linguaggio.
Quel giorno che uscì l’Ora – Fu così che conobbe Joyce

      Quasi un inconsapevole nòstos, un ritorno alla maniera di Ulisse  - o alla Joyce, col quale ha più d’un tratto in comune – ha ricondotto in questi giorni a Palermo Antonio Pizzuto. Lo scrittore Antonio Pizzuto. L’ex Questore oggi in pensione, Antonio Pizzuto, palermitano dei Quattro Canti di città. Si tiene in questi giorni a Palermo il Convegno nazionale di linguistica promosso dal Centro Studi Filologici Siciliani, ed Antonio Pizzuto vi partecipa, gli ha dato anzi un apporto vitale con un intervento discusso e criticato e dove c’è critica, discussione, confronto di idee c’è vita. Lunedì è in programma un appuntamento fra Palermo e l’ultima opera del nostro Felice Chilanti – “Il colpevole” – e sarà Antonio Pizzuto a presentare il libro ai palermitani.
     Sono queste, causali validissime per giustificare il ritorno fra noi di un fantastico personaggio dei nostri tempi, pure c’è da giurare che a fianco di esse abbia agito un’altra molla per sospingere il settantacinquenne questore-letterato lungo la rotta Roma-Palermo alla ricerca dei luoghi, dei volti amici o soltanto noti, dei colori e anche degli odori che fra Quattro Canti e la Cattedrale amò, vide, assaporò il Pizzuto bambino, poi adolescente, poi il giovane e colto funzionario statale. I luoghi, i volti, le musicali pennellate che egli ha fermato nel tempo e nelle pagine dei primi romanzi, “La signorina Rosina” e “Si riparano bambole”, e che danno al suo ritorno, al suo nòstos il nome più calzante e sincero: nostalgia. Per valutarne appieno il potenziale è indispensabile conoscere l’uomo. Una scheda anagrafica ci dice laconica che Antonio Pizzuto nacque a Palermo il 14 maggio del 1893. Suo nonno materno era Ugo Antonio Amico. A sua madre, poetessa, Carducci dedicò una lirica. A Palermo studiò, si laureò in legge e qualche anno più tardi in filosofia. Entrato nella Pubblica Sicurezza leggeva Proust in francese, traduceva per suo diletto Kant dal tedesco. Ai vertici della carriera presiedette la Commissione Internazionale di Polizia Criminale e intanto annotava scriveva analizzava e scriveva, studiava musica e scriveva per sé. Col 1° di gennaio del 1950 diventò pensionato statale, e scrittore per gli altri.
   Da una scheda letteraria si può stralciare: “Pizzuto… uno scapigliato sublimato alla complicità con Ulisses e alla colleganza col Nouveau roman” Contini diceva “perfetto, rotondo, catafratto in una maturità che è magistero”: “… è certo che le nutrici di Pizzuto sono state il greco Platone, il latino Tacito: portati tuttavia all’iperbole, cioè oltre la frontiera riconosciuta all’indoeuropeo…” Questa scheda è firmata da Gianfranco Contini.

Ritmo incazante

“E’ uno dei massimi scrittori italiani, per ora” dice di lui Lucio Piccolo. Ne è entusiasta, esprime questo entusiasmo e la sua ammirazione anche attraverso un gesticolare personalissimo che si intona al ritmo incalzante del parlare. E’ venuto da Capo d’Orlando a Palermo per rinnovare fisicamente una antica intensa conoscenza di Pizzuto, prima di ieri soltanto epistolare, “E’ un autore difficile, ma la difficoltà di intenderlo è ampiamente compensata dalla sostanza incisiva delle sue descrizioni. Catania ha avuto Verga, Capuana, Palermo è la prima volta che trovi un grande scrittore che la rappresenti nel periodo intermedio fra i primi del ‘900 ed oggi”. 
    Il barone poeta Lucio Piccolo ha conosciuto Antonio Pizzuto in casa del genero, in via dei Re Normanni. Vi è ritornato poche ore più tardi, in compagnia di Jò Lanza Mazzarino. Verrà ancora da Capo d’Orlando, lunedì, per la presentazione del libro di Chilanti. Un tale tributo di ammirazione tintinnante come buona moneta spicciola nostrana, casalinga, e per questo più convincente dei riconoscimenti della critica ufficiale, predispone all’incontro con Antonio Pizzuto che avviene di lì a poco nell’Aula Magna della Facoltà di Magistero dove si raccolgono i congressisti della linguistica.
    Lo scrittore entra accompagnato da una nipote, appoggia ad un bastone il corpo scosso da un leggero tremito. Nello sguardo che ti pianta addosso mentre parli con lui fa capolino il Questore ed anche il vezzo di temporeggiare nel rispondere, prendendo a pretesto una incipiente sordità, dà l’impressione di un cedimento al deviazionismo professionale della mente. Compitissimo, affronta la conversazione restando in piedi, nonostante il ripetuto invito perché si sieda nella poltrona di prima fila riservatagli. Sfoggia una non comune padronanza del lessico e mostra di compiacersene.  Bisogna interpellarlo col titolo di Professore, o di Maestro, o con quello burocratico di Commendatore?  L’italianissimo Signore elimina l’imbarazzo della scelta.
   - Signor Pizzuto, durante la carriera nella polizia, cioè prima di dare alle stampe Signorina Rosina, ha scritto altre cose? “Mi ascolti io sono un outsider della letteratura. Ho scritto, sempre, tutta la vita, ma con disposizioni testamentarie ho precisato che gli scritti che precedono la Signorina Rosina siano distrutti”.
 - Perché no distrugge lei stesso in vita, ciò che vuole sia distrutto?
“Mi scusi, non sento. Diceva?”
- Niente, roba di poco conto. Piuttosto soddisfi la curiosità dei suoi lettori: lei scrive di getto, o dopo laboriosi ripensamenti? Cioè la sintassi ed lessico spietati rigorosi della sua prosa sono spontanei o elaborati?
“ La mattina la dedico alla prima stesura, di getto. Il pomeriggio e la sera rielaboro il materiale, lavoro di lima”
-        Oltre a Rosina e Si riparano bambole, quali altri suoi lavori sono radicati nella realtà della sua vita vissuta?
-        “Quasi tutti. Il Triciclo per esempio, è il racconto autobiografico di un caso che mi è accorso”.
-        Come mai ha deciso, improvvisamente, di partecipare a questo convegno?
-        “Da dieci anni sto zitto; adesso che hanno interrotto il mio lavoro invitandomi a parlare, voglio parlare”.
-        Ci dirà, per esempio, perché la musica la ha aiutata a scrivere?, come asserisce Contini?
-        Ma certo! Dirò che considero la prosa poliritmicità, non monotonia”.

Racconto autobiografico

   Più tardi, durante la prima parte – applauditissimo – del suo intervento, Pizzuto si richiamerà ad autori di musica, solfeggerà, accennerà canticchiando motivi e ritmi a sostegno della sua tesi. Reciterà anche una sua lassa (lassa, francese lasse, forma semplicissima di strofe composta di una serie di versi legati dalla assonanza o dalla rima, dalla Enciclopedia Treccani) per dimostrare quanto il ritmo incida sulla prosa. Un Delegato di Polizia, poi commissario di Pubblica Sicurezza, poi Questore; precursore dell’Interpol; coetaneo di Gadda e di Lampedusa  e di Montale, impone sostanziali diversità fra racconto e narrazione (“Il racconto congela il fatto, è sempre astrazione; la narrazione è concreta, ricrea attraverso la identificazione dell’essenza narrativa la fluidità profonda dei fatti”).


 Fascinoso contrasto

Che cosa dire in più? E’ fascinoso contrasto incarnato dal palermitano Pizzuto – romanzierequestorelinguista – offre spunti senza fine alla esegesi, alla critica, alla cronaca. Vale la pena dare Antonio Pizzuto in pasto alla cronaca per avvicinarlo, anzi per avvicinare i lettori, al mondo spicciolo palermitano che egli ha descritto in chiave aristocratica. Vale la pena – o meglio, è l’unica cosa da farsi – dar la parola a lui:
   “L’intervista, se permette, me la faccio io. Verterà su tre punti che ritengo, debbano far piacere al Suo giornale.
   Primo punto: io sono forse l’unico che possa ricordare di aver assistito alla nascita del giornale L’ORA. Ero bambino, abitavo ai Quattro Canti nel palazzo dove c’è ora l’Upim. Una sera, ero sul balcone, improvvisamente la strada fu piena delle voci di una frotta di ragazzi che strillavano L’Ora, L’Ora… Tutti fummo sorpresi, incuriositi, poi divenne un fatto abituale.
  Secondo punto. Nel 1922, o forse all’inizio del 1923, l’Ora fu il primo anzi lo unico giornale italiano che tradusse e pubblicò l’Ulisse di Joyce. Non tutto, beninteso, la parte finale, il monologo di Bloom. Fu un grande avvenimento letterario. Dopo la pubblicazione della prima puntata feci acquistare dalla Biblioteca Nazionale l’opera di Joyce… Eh, sì: L’ORA aveva una terza pagina di primo ordine…
   Terzo punto. Nell’estate del 1936 – lei sa che ero nella polizia, parlavo alcune lingue, per questo mi telefonò il Direttore della Polizia , Bocchini, preannunciandomi che sarei stato trasferito al Ministero. Dissi di no, avevo papà ammalato – morì un anno più tardi – ma che fare? Seguivo in quell’epoca su un gustoso feuilleton pubblicato da L’ORA le vicende di un Cristiano D’Izel. Quando mi giunse il telegramma del Ministero partii. E son rimasto da allora con la curiosità di sapere come sia finita la vicenda di Cristiano D’Izel…”.
    Vorrebbe che l’intervista finisse lì, ma lo incalzo. Parliamo del Convegno.
  “L’essenza linguistica della narrazione sta nel lessico e nella sintassi”, dice. Poi si tuffa nella difesa di quattro sue creazioni, quattro termini che lui ha inventato – li definisce “quattro miei hapax” – che sono lamprà, giuliettistaggio, bressico, zélida dal verbo zélidare. Lamprà è preso in prestito da Tucidide, Sélene lamprà, una sposina in velo bianco si può chinare sul letto solo come Selene lamprà : giuliettistaggio è l’insieme che proviene da una camera contigua che ospita due sposini in luna di miele: e la paglia che avvolge il fiasco di vino schiocca al tatto, zélida, appunto…

MAURO DE MAURO intervista Antonio Pizzuto [foto]

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