domenica 20 marzo 2011

Nicola Barbato, L'Autodifesa, 1894





Nicola Barbato



L’AUTODIFESA, 1894



 Poiché è venuto il mio turno, prima di svolgere la mia breve difesa, sento il bisogno di protestare in nome degli ideali umani contro le parole pronunziate sugli anarchici dell’avvocato Moltanto, nell’interesse della propria libertà.

 - Anch’io ho bisogno della libertà, affinché non muoia di fame la mia povera famiglia; anch’io nei giornali fui calunniato da giovanastri che si chiamano anarchici; ma né i supremi bisogni, né i risentimenti devono offuscare lo spirito d’un vero socialista al punto da fargli dimenticare che abbiamo compagni nella sventura, anarchici  sinceri e che la concezione anarchica racchiude una parte di quell’ideale che il socialismo si sforza di rappresentare con varie formule e di raggiungere con diversi mezzi.

 - La mia fede politico-sociale è registrata nella lettera che avevo inviato al professor Lombroso e che fu letta in quest’aula: ma al disopra della fede formulata e codificata vi sono i combattenti che, sotto bandiere un po’ diverse dalla mia, lottano eroicamente nell’interesse dell’umanità, e a cui io, pur non conoscendoli che di nome, mi onoro di stringere la mano con affetto fraterno in un momento in cui le galere del mondo minacciano di inghiottirli disonorandoli.
È luogo questo di pensare a distinzione di scuole, e anatomizzare i fratelli anarchici mentre la reazione imperversa e tenta di sopprimere e disonorare noi e loro?

 - Abbiti la mia parola di pace e di solidarietà, o pericolosissimo e scomunicato Gulì e valgano i comuni dolori a unire i militi sinceri della varie scuole del socialismo.
 - Ed ora – andiamo alla difesa – poiché il rito o il bisogno lo vuole, unirò pure la mia debole parola a quella dei miei compagni per tentare di distruggere le accuse che pendono sulle nostre teste.
 - La splendida dimostrazione giuridica della nostra innocenza, fatta dal compagno e amico De Felice, darebbe a noi il diritto di non prendere più in esame il processo; si dovrebbe attendere e con la massima serenità la sentenza.

 - Ma le ombre dei poveri morti della Sicilia turbano ancora il sonno dell’Italia e, fors’anche, dell’intero mondo civile, e impongono a ognuno di noi l’obbligo di sforzarsi a mettere in evidenza le prove della propria integrità morale, nascoste in un grosso zibaldone di carta sporca con raffinatezza inquisitoriale.

 - Nella vita ordinaria vi sono casi in cui l’incoerenza giuridica non dice nulla intorno all’integrità morale dell’imputato, anzi non rare volte svela, purtroppo!, l’iniquità dei codici che colpiscono con predilezione i vinti, e l’arte profonda dei più vili delinquenti a danneggiare impunemente il proprio simile sotto l’usbergo delle insegne della classe dominante.

  - Nel caso nostro incoerenza giuridica suppone per se stessa l’integrità morale, molto più quando la statistica ha in certo modo dimostrato l’influenza moralizzatrice dei Fasci. Ma la specialità del nostro caso rende utile e necessario ogni piccolo sforzo che tenda a mettere sotto luce meridiana la nostra condotta.

- I gaudenti sentono dalle profondità misteriose della storia salire su un coro di voci poderose che reclamano diritti e le credono selvagge, preumane, anelanti lo sfacelo sociale e il caos.


- Noi socialisti nella fede cieca, che fa sollevare le plebi col talismano dei ritratti dei sovrani, scorgiamo un pericolo per l’evoluzione, temiamo che il feticismo sia di ostacolo al cammino dell’ideale.

- La severa ragione sarebbe diffidente a tranquillizzare tutti, se le nostre passioni d’un giorno non la indebolissero deformandola sconciamente.

- Essa, l’austera Dea, insegnerebbe al gaudente che il suo benessere aumenterà sempre più, a misura che le masse s’innalzano e tendono a diventare umane, e che le esplosioni dell’incosciente collettivo sono indipendenti da ogni sobillazione; al socialista insegnerebbe che soltanto le buone condizioni di vita, cioè l’aria, il buon nutrimento e il lavoro non esauriente, possono rendere efficace tutto ciò che si esprime con la parola educazione, e mettere i un'altra via la funzione psichica che ha creato e continua a creare il feticcio e le tirannidi.

- Ma, attraverso il velo  funebre dei morti di Giardinello, di Lercara, di Pietraperzia, di Gibellina, di Marineo e di S.Caterina Villaermosa, la percezione dei rapporti di casualità viene profondamente alterata e, malgrado la nostra innocenza giuridica, la condanna sarà inevitabile, se i nostri giudici non avranno la rara ed eroica attitudine di dimenticare se stessi, trasportandosi con l’immaginazione in un'altra società, dove le passioni, pur continuando a funzionare, avranno diverso contenuto.

- Nel giudizio che si darà in quest’aula, avrà certo grande importanza la lealtà del soldato, e noi appunto per questa lealtà ci troviamo contenti che la nostra sorte è stata affidata al tribunale militare. Ma disgraziatamente la psicologia insegna che i giudizi specialmente nei fatti umani, derivano, in massima parte dall’incosciente. Mentre Voi, o Signori del Tribunale, studiate con il massimo scrupolo tutti i particolari più minuti del processo per potere giudicare equamente, quella parte del vostro spirito che non arriva alla coscienza, ma che pur vive rigogliosa in ogni uomo, farà come il diavolo; s’insinuerà tra le fila del vostro ragionamento: e senza che voi che ve ne accorgiate, darà gran peso a quella parte che, in noi, a uno sguardo superficiale, rappresenta la negazione assoluta di tutto ciò che è bello e sacro non solo per voi, ma anche per noi.

- La patria e la famiglia sono oggetti sacri per tutti; ma siccome voi, con molta probabilità, le ritenete una specie immutabile, sarà facile a quel diavolo, che si chiama incosciente, farvi credere che noi vogliamo distruggerle, mentre vogliamo trasformarle.

- Noi vogliamo distruggere la patria e la famiglia di oggi, con quegli stessi intendimenti e diritti con cui tutti i rivoluzionari, che la borghesia  annovera tra i propri martiri umani e divini, vollero distruggere la patria e la famiglia greca e romana, che anche noi iconoclasti impenitenti, ammiriamo attraverso le pagine immortali degli scrittori di quelle due grandi razze e le riteniamo anello sacro e glorioso dell’evoluzione della specie umana.

- Potrà il vostro spirito dimenticare per un momento le forme dell’ideale, alle quali è abituato, a vedere in noi non solo la parte negativa, ma anche quella positiva delle nuove forme dell’ideale, che la storia va inesorabilmente tessendo?

- Nell’atto d accusa si rileva che rivoluzione dovette colpire a mio danno la fantasia del magistrati ordinarii.
- È quindi necessario che io mi fermi un poco sul modo come la scienza concepisce oggi la rivoluzione.

- I primi tentativi di una storia scientifica della terra sono assai recenti. Fino al grande Couvier si andava a tentoni, riunendo le modalità superficiali di fenomeni per stabilire le dottrine geologiche e biologiche; a parve che codeste dottrine  avessero raggiunto l’apice della perfezione, quando mercè l’opera di una intera  generazione di scienziati, ma specialmente mercè quella di Couvier si potè affermare che la storia era composta di parecchie rivoluzioni violente, ognuna delle quali improvvisamente veniva a distruggere le forme animali e vegetali con i singoli atti di creazione.

- Ma poco dopo Lezel dimostrò che erano fantastiche le rivoluzioni di Couvier, e la geologia ha ormai assodato assiomaticamente che la storia della terra è una lenta trasformazione graduale, che si rende soltanto sensibile a distanze di migliaia di secoli.

- La stessa sorte è toccata ai tentativi di una storia scientifica della specie umana.
Quantunque questi tentativi non abbiano ancora raggiunto la perfezione di quelli della storia geologica, vi sono già nelle vostre mani dati sufficienti per poter affermare che la storia della specie umana è una lenta trasformazione, che psichico si rende sensibile a distanza molto inferiori a quelle della storia geologica. Però la parola rivoluzione si è conservata ed è giusto che si conservi nella storia umana per caratterizzare i vari periodi storici secondo le varie forme del pensiero e del sentimento corrispondenti ad ognuno di essi.

- Le insurrezioni armate non sono altro che episodii dolorosi e necessari della evoluzione umana, o meglio, uno dei tanti mezzi, di cui essa si serve più incoscientemente che coscientemente per distaccare dal proprio organismo le parti.

- Io, milite oscuro del socialismo, mi onoro di appartenere alla falange dei rivoluzionari, cioè, non credo che il fenomeno delle insurrezioni  a mano armata possa evitarsi nella più grande e più umana delle rivoluzioni della mia specie. Qui è il punto principale che divide me da Montalto, Bosco, Petrina e Verro; essi credono che la rivoluzione socialista si compra senza insurrezioni armate. Secondo me le distruzioni violente spariranno quando comincerà ad esistere l’umanità.

- L’umanità non è esistita mai e non esiste ancora: vi sono stati degli individui umani, cioè uomini che in tutti o nella massima parte degli atti della loro vita, hanno mostrato di aver sentimenti altruisti solidamente organizzati; ma l’umanità, come ente collettivo, incomincerà ad esistere il giorno in cui l’uomo non sarà più costretto dai bisogni della propria conservazione a fare una lotta da lupi col proprio vicino.

- Ammesso anche che la maggior parte degli individui delle nazioni civili sia oggi disposta per eredità e per educazione a vivere umanamente, bisogna pure che essa si adatti a vivere bestialmente, né di più né di meno come l’altra parte che non vi è disposta, se non vuole esporsi al pericolo di cadere tra i vinti e gli affamati; bisogna pure che ognuno di noi si adatti  levare il pane dalla bocca altrui senza pietà. Con le attuali organizzazioni sociali, sono destiate a perire quelle nazioni e quegli individui che non si sforzano, col permesso dei codici, di rapire qualche cosa alle altre nazioni e agli altri individui. Questa vecchia verità è stata gia riconosciuta da non pochi conservatori; ma essi confondendo la biologia con la sociologia e applicando male le leggi darwiniane, finiscono sempre col concludere che la lotta per la vita è legge naturale che ha dominato e dominerà perennemente i rapporti tra nazione e nazione e tra individuo e individuo della stessa nazione.

- Noi rivoluzionari, noi socialisti, invece, basandoci sulla storia e sulla sociologia, crediamo che verrà giorno in cui l’uomo non sarà costretto dai bisogni della propria esistenza ad amarsi di fucili, di cannoni e di codici per fare il ladro col cosiddetto straniero, col proprio concittadino e non rare volte coi genitori, coi fratello e con le sorelle.

- Saremo degli utopisti: non dimenticate che la bestia uomo si è distaccata dalle bestie ed è giunta al punto in cui è, per virtù di utopie, le quali, prima di realizzarsi destarono disprezzi, ire, odi e persecuzioni contro i poveri sognatori.

- È la storia è da un pezzo che va preparando la realizzazione alla più bella delle utopie del cervello umano: il giorno in cui nei codici si affermò che nell’interesse pubblico si può togliere la proprietà privata al cittadino indennizzandolo con moneta, fere un vero atto di socialismo incosciente; un altro atto di socialismo incosciente può chiamarsi il servizio militare obbligatorio per tutti gli uomini robusti, mentre i deboli e le donne ne vanno esenti. E tanti altri esempi si potrebbero citare di socialismo incosciente.

- La ripetizione di simili atti e un gruppo complesso di fattori, che non è qui il luogo di esaminare, hanno prodotto la coscienza socialista, che oggi non è più un sogno, ma la visione netta di una tendenza sorta da un lungo tempo nelle società umane e arrivata a tale grado di sviluppo da farci sperare che non sia lontana l’epoca in cui avremo le prime organizzazioni coscientemente socialiste.

- Qui ripeto ciò che dichiarai nel mio interrogatorio: da socialista ho tentato di contribuire alla più umane, alla veramente umana, delle rivoluzioni con tutti i mezzi che ho creduto necessarii e che il codice della borghesia permette a tutti i cittadini italiani.

- I mezzi che il codice chiama reati, non li ho adoperati, non già perché li rigetti a priori, in sé, ma per la semplicissima ragione che ritengo non essere ancora arrivato il tempo, nel quale simili mezzi saranno utili e dolorosamente necessarii. E credo, forse a torto, che se noi socialisti, lasciandoci vincere dai gemiti dei milioni che muoiono di fame, ci fossimo decisi all’insurrezione armata, avremmo messo la rivoluzione, per un certo tempo, al servizio del dispotismo borghese con una delle tante repubbliche più o meno panamiste.

-Entriamo nell’esame del processo paragonato a certi procedimenti fossili dello spirito che rivivono in alcuni turbamenti rivivono psichici degli individui e delle nazioni.

- Noi abbiamo la ferma convinzione che verrà l’epoca in cui non sarà più la lotta fratricida; noi rivoluzionari, saremo accusati di utopia. Ma pensate che a forza di utopie la bestia uomo si è intellettualmente sviluppata, è per queste utopie che intellettualmente possiamo affermarci uomini.

- La nostra è un’utopia?

- Io ritengo sia una di quelle utopie che hanno sempre mandato innanzi la bestia uomo.

- Il collettivismo che vuole? L’espropriazione della proprietà privata per il bene di tutti. Pare un’utopia?

- Ma il servizio militare com’ è regolato? Sono astretti al servizio i giovani; ne vengono esclusi i vecchi e i malati. Vuol dire che chi può deve dare una parte di sé per l’interesse degli altri.

- La rivoluzione per raggiungere i nostri ideai non è quella di cui mostrano spaventarsi i magistrati.
Avete inteso quale dev’essere e quale sarà.

- Nessuno potrà provocarla; l’insurrezione armata sarà fatale.

- Sono dolente che quest’ora dell’insurrezione armata non sia suonata.

- Credo anzi che sia ancora molto lontana.

L’ultima dichiarazione  (da: L’autodifesa)

 È impossibile predicare al povero l’amore pel ricco; il povero non vi ascolterebbe. Se il ricco è contro il povero, è naturale che il povero debba essere contro il ricco. Io non potevo predicare l’amore, perché non sarei stato ascoltato ed avrei quindi lasciato affrettare quello scoppio che io volevo allontanato. Allontanato e non scongiurato; perché io ritengo che sia fatale l’esplosione.
Non predicavo l’amore, dunque; ma non predicavo l’odio. Educavo.
Persuadevo dolcemente i lavoratori morenti di fame che la colpa non è di alcuno; è del sistema… Perciò non ho predicato l’odio agli uomini ma la guerra al sistema.
Certo la nostra propaganda è energica; fa rialzare la testa. “I contadini si lasciano crescere i baffi” – mi disse lamentandosi il delegato di polizia.
È vero: essi hanno acquistato la coscienza di essere uomini. Non domandano più l’elemosina, chieggono ciò che è diritto.
La menzogna è svanita, è svanita la loro viltà; colla nostra propaganda s’innalzano.
Non si appostano più per uccidere il padrone a tradimento: lo guardano negli occhi e domandano colla forza del diritto. E scioperano

Il socialismo procede appunto perché non è sentimentalismo: è forza, è pratica. Esso si fonda sulle leggi economiche. E qualunque cosa si faccia da noi, la borghesia dovrebbe esserci grata. Noi rendiamo le forze sociali meno temibili, meno disastrose. Ma tutto questo oggi dalla classe dominante si ignora: ed essa, credendoci nemici, vuole schiacciarci. Così la borghesia fece ammannire dai suoi magistrati incoscienti questo processo.
Davanti a voi abbiamo fornito i documenti e le prove della nostra innocenza; i miei compagni hanno creduto di dover sostenere la loro difesa giuridica; questo io non credo di fare.
 Non perché non abbia fiducia in voi, ma è il codice che non mi riguarda.
Perciò non mi difendo. Voi dovete condannare: noi siamo gli elementi distruttori di istituzioni per voi sacre.
Voi dovete condannare: è logico, umano.
E io renderò sempre omaggio alla vostra lealtà.
Ma diremo agli amici che sono fuori: non domandate grazia, non domandate amnistia. La civiltà socialista non deve cominciare con un atto di viltà. Noi chiediamo la condanna - non chiediamo la pietà. Le vittime sono più utili alla causa santa di qualunque propaganda. Condannate!







Nota al testo

La celebre Autodifesa, diffusa dalla stampa all’epoca del processo, fu pubblicata per la prima volta con il titolo II socialismo difeso da Nicola Barbato al tribunale di guerra( Torino, Libreria Editrice Socialista del « Grido del Popolo », 1896). Nel 1974 il professore Salvatore Costanza ne curò la riedizione per il quotidiano palermitano « L’Ora » (4 dicembre 1974); quest’ anno è stata ripubblicata nel volume I Fasci siciliani dei Lavoratori a cura del professore Santi Fedele (Rubettino).[1994]
La presente edizione, per la quale ringraziamo l’editore Sellerio, è tratta dall’opuscoletto del 1896, ormai quasi introvabile.
In tal modo l’Amministrazione Comunale di Piana degli Albanesi e il Comitato organizzatore delle manifestazioni per il centenario dei Fasci dei Lavoratori – nell’ambito del convegno storico «I Fasci dei Lavoratori e la crisi italiana di fine secolo (1892-1894) », Palermo-Piana degli Albanesi, 21-24 settembre 1994 – hanno voluto rendere un nuovo omaggio all’eminente figura di Nicola Barbato (Piana dei Greci, 5 ottobre 1856 – Milano, 23 maggio 1923), medico, rappresentante del movimento socialista siciliano e italiano. GIUSEPPA ORTAGGIO Presidente del Comitato organizzatore

Nel 2005 il testo è stato oggetto della tesi di laurea specialistica di Franco Ciminato in Scienze dello spettacolo e p. m.,  con realizzazione video,  La divulgazione del testo letterario attraverso il video, voce di Franco Scaldati, 6’

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